La Giornata mondiale dell’Alzheimer, a calendario il 21 settembre, ci porta a concentrarci su una malattia con numeri che non vanno trascurati e i cui effetti ricadono anche su famiglie e caregivers del malato. Per questo è più che mai utile, specie dopo l’ultimo anno e mezzo di difficoltà acuite dal Covid, condividere esperienze e testimonianze unite alla conoscenza della malattia e all’inclusione dei soggetti fragili.
Approfondiamo molti di questi aspetti con il professor Marco Trabucchi (Università Tor Vergata di Roma e presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria) e con Anna Fedi (presidente Afma Genova – Associazione Famiglie Malati di Alzheimer).
La Giornata mondiale dell’Alzheimer, a calendario il 21 settembre, ci porta a concentrarci su una malattia con numeri che non vanno trascurati e i cui effetti ricadono anche su famiglie e caregivers del malato. Per questo è più che mai utile, specie dopo l’ultimo anno e mezzo di difficoltà acuite dal Covid, condividere esperienze e testimonianze unite alla conoscenza della malattia e all’inclusione dei soggetti fragili.
Approfondiamo molti di questi aspetti con il professor Marco Trabucchi (Università Tor Vergata di Roma e presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria) e con Anna Fedi (presidente Afma Genova – Associazione Famiglie Malati di Alzheimer).
Professor Trabucchi, di che malattia parliamo quando facciamo riferimento all’Alzheimer? Perché i numeri sono in aumento e quanto è importante concentrarsi anche su famiglie e caregivers? “Innanzitutto va sottolineato come l’Alzheimer sia una forma di demenza che rappresenti dal 60 all’80% delle demenze nel loro complesso. Tuttavia oggi viene utilizzata la parola Alzheimer come concetto generale. La parola per il tutto, come si usa dire. La malattia dell’Alzheimer è un fenomeno che si verifica in età molto avanzata e in piccola parte in età inferiori ai 50 anni. In quest’ultimo caso però si parla di demenza presenile. I segnali dell’Alzheimer sono all’inizio un disagio del soggetto, il quale percepisce una certa modifica della sua collocazione nel mondo: avverte una perdita di memoria e una scarsa attenzione. I parenti della persona affetta dai sintomi dell’Alzheimer sono i primi a rendersi conto di questo cambiamento. I principali segni della malattia poi possono degenerare e il disturbo può durare anche 10/15 anni fino alla morte della persona. Il problema dei numeri legati all’Alzheimer ha una duplice valenza. Il risultato finale è l’aumento dei numeri e tale incremento è dato da un aumento forte dell’invecchiamento e dell’aspettativa di vita. Vi è poi un fenomeno, leggero ma significativo, di diminuzione dell’incidenza: si dice che le persone nate nelle corti più recenti abbiano meno rischio di incorrere nella malattia. Tuttavia tale aspetto con basta a compensare l’aumento indotto dall’incremento delle persone anziane. L’Alzheimer dunque resta un grave problema, ma alcuni segnali indicano che oggi è possibile un’azione preventiva. I caregivers di oggi sono abbandonati: il paziente viene pur sempre preso in carico dai servizi di assistenza, ma il suo caregiver è giocoforza una persona sola, stanca dal punto di vista fisico e psicologico. E forse è questo l’aspetto più difficile da affrontare”.
Anna Fedi: che vita vive una famiglia che assiste un malato di Alzheimer? Quanto è importante la “rete” che si crea attorno alla famiglia stessa? “L’influenza della malattia dell’Alzheimer sulle famiglie è enorme. Cercare di dare un supporto ai famigliari della persona malata non è semplice: gli aiuti da parte delle istituzioni sono poco presenti, soprattutto all’indomani della pandemia da Covid. Questo non può e non deve scoraggiare, dobbiamo ancora dare forza e coraggio alle famiglie. Come Afma Genova è questo il valore che cerchiamo di dare a livello sociale, indirizzando i famigliari verso i servizi a loro disposizione e cercando di implementarne sempre di più”.
Professor Trabucchi, a livello “sistemico” in Italia quali step servono ancora? “Purtroppo sono ancora tanti gli step necessari in Italia. Il sistema dell’assistenza alle persone affette da demenza, escluso il lavoro prezioso delle associazioni, non ha ancora inquadrato in maniera ottimale la reale sofferenza dei malati di Alzheimer. La pandemia ha senza dubbio rallentato le attività dei CDCD (Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze), inadeguate già da prima del Covid. E poi si fa sentire il problema dell’assistenza all’interno della propria abitazione. Speriamo che il tanto lodato Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci aiuti nel fornire un’assistenza domiciliare specifica, con una preparazione adeguata verso le demenze. Senza dimenticare poi il problema delle demenze all’interno delle Rsa: oggi il 70/75% degli ospiti delle Rsa soffre di Alzheimer. Infine vi è la problematica del fine vita, anch’essa delicatissima”.
Parlare di cure è complicato ma quali consigli e quale messaggio può essere trasmesso a chi si occupa del malato? “Le famiglie dovrebbero essere consapevoli di svolgere un ruolo centrale nella vita sociale del Paese: se non esistessero i caregivers, tutte le persone affette da demenza sarebbero destinate alle istituzioni e il sistema collasserebbe. Potrebbe non essere sufficiente ad alleviare la sofferenza e la stanchezza dei caregivers, ma il messaggio che voglio dare loro è questo: sappiate che l’amore che date ai vostri cari è il modo più forte ed efficace per farli stare meglio”.
Anna Fedi, per chiudere: come rete di Afma Genova come avete lavorato nell’ultimo anno e mezzo e come intendete lavorare in futuro? “Come il professor Trabucchi, credo fortemente nell’importanza del servizio domiciliare per i malati di Alzheimer. Nell’ultimo anno noi di Afma Genova lo abbiamo provato sulla nostra pelle nel momento della pandemia: il 6 marzo abbiamo dovuto chiudere i battenti, con inevitabile e comprensibile disperazione delle famiglie. Abbiamo cercato quindi di supportarle ugualmente: dal 16 marzo, grazie a un equipe di esperti per la parte sanitaria e sociale, abbiamo svolto il nostro servizio domiciliare per trenta ospiti che soggiornavano presso il nostro centro diurno Arcobaleno di Sestri Ponente prima della pandemia. Abbiamo concluso il nostro servizio domiciliare il 14 ottobre riaprendo le attività del centro con tutte le attenzioni del caso, ma non è stato semplice fornire ai nostri ospiti due ore di assistenza domiciliare gratuita al giorno per tutta la settimana. Tuttavia è stata per noi una grande soddisfazione non aver lasciato sole le famiglie e aver fatto rete con i CDCD. Non ci siamo sostituiti alle istituzioni e ai famigliari, il nostro obiettivo era quello di dare una mano e lo abbiamo fatto con enorme soddisfazione e orgoglio. Abbiamo risposto alla necessità di fare rete, di rimanere uniti contro la malattia. La fondazione Maratona Alzheimer sta cercando di organizzare una petizione che vede coinvolte tutte le associazioni a livello italiano per chiedere un contributo giusto e dovuto per le famiglie dei malati di Alzheimer: in questo il sostegno di realtà importanti come l’Associazione Italiana di Psicogeriatria è per noi fondamentale”.
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