Covid e consenso al vaccino per persone con disturbi cognitivi: focus sul tema col dottor Luigi Ferrannini

Torniamo a parlare di vaccino anti-Covid. Il recente Decreto Legge 5 gennaio 2021 è intervenuto nel risolvere, a livello normativo, il nodo relativo al consenso al vaccino per i soggetti affetti da disturbi cognitivi, incapaci di esprimere il consenso libero e consapevole al trattamento sanitario. Tuttavia, le differenze tra cultura giuridica e cultura sanitaria possono dar luogo ad alcune ambiguità. Dove termina il diritto della persona (il paziente in questo caso) ad esprimere le proprie scelte per far spazio alle decisioni di tutori, amministratori di sostegno e familiari? Ne parliamo con il dottor Luigi Ferrannini, già Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze dell’ASL 3 Genovese, Professore a contratto Unige.

Dottor Ferrannini, facciamo il punto sull’ultimo Decreto Legge 5 gennaio 2021, che regola la somministrazione del vaccino anti-Covid ai soggetti con disturbi cognitivi.

«Prima di parlare delle ultime disposizioni, è doveroso fare una premessa. All’interno della legislazione sanitaria, le uniche malattie per le quali la legge ha previsto interventi “obbligatori” nei confronti dei pazienti sono concepite dalla legge sulle malattie infettive del 1932 e la legge sulle patologie psichiatriche del 1978. Con un’unica grande differenza: la legge sulle malattie infettive può obbligare alla quarantena qualora vi sia un rifiuto alla vaccinazione al fine di tutelare la salute delle altre persone e contenere il contagio; la legge 180 invece prevede non solo il ricovero, ma anche il trattamento. Malattie infettive e patologie psichiatriche rappresentano quindi due paradigmi nei quali la volontà del soggetto diventa fondamentale, non solo per salvaguardare le sue condizioni di salute ma anche per non rischiare di commettere atti che rappresentino un danno altrui. Il Decreto Legge 5 gennaio 2021 ha recentemente introdotto alcune regolamentazioni alle manifestazioni del consenso alla somministrazione del vaccino anti-Covid per i soggetti incapaci, ricoverati presso le strutture sanitarie assistite. Attenzione, si parla qui della problematica legata a pazienti con deficit cognitivi e non solamente di soggetti anziani. Tuttavia, la norma non può mai prescindere dalla considerazione della capacità decisionale della persona, la quale deve essere sostenuta, valorizzata e rafforzata. Anche di fronte a patologie cognitive non si può dare per scontata l’incapacità decisionale della persona. Quando però la decisione del soggetto va contro la sua stessa salute, entra in gioco il medico, il cui ruolo non è quello di imporre la vaccinazione, ma di avviare un percorso di condivisione, comprensione e informazione insieme alla persona interessata, affinchè questa possa comprendere il valore e l’importanza della vaccinazione. D’altra parte, comunicare con il paziente e informarlo è anche prendersi cura di cui. Tuttavia, se è già stata certificata una limitazione cognitiva del paziente, il medico può fare riferimento all’Amministratore di Sostegno del paziente e ai suoi familiari, fermo restando la possibilità di posizioni contrastanti tra gli stessi familiari e il medico. In quel caso si deve comunque far riferimento alla volontà del paziente. Non dimentichiamo poi i pazienti con deficit cognitivi gravi, giudicati totalmente incapaci, che hanno al proprio fianco un Tutore che decide in sua vece. Dunque il punto critico è sempre il rapporto tra operatore sanitario e paziente: quest’ultimo non deve sentirsi succube del percorso di cura ma partecipe. Le relazioni di cura più efficaci sono quelle che fin dall’inizio hanno dato spazio alla raccolta di opinioni e preferenze del paziente. Il medico ricopre qui un ruolo anche etico e deontologico, che salvaguardi sempre e comunque la salute del paziente ed i rispetto delle sue volontà».

Questo l’aspetto più normativo legato al Decreto. Tuttavia, sotto l’aspetto pratico non sempre è facile capire dove e quando applicare la legge…

«Quando si parla di aspetti prettamente normativi in realtà ci si muove su un terreno scivoloso, perché siamo di fronte ad un incrocio di culture diverse. Si pensi, ad esempio, a tutte le problematiche legate alla privacy: i sistemi di monitoraggio dovrebbero fare in modo che tutti i dati delle persone siano disponibili, mentre il diritto alla privacy conferisce al soggetto la facoltà di non fornire i propri dati. Permane dunque un certo contrasto tra norme che difendono i diritti naturali dell’uomo e norme che invece aiutano le persone nel loro percorso di cura. Queste due culture non sempre si intrecciano produttivamente».

Cosa si può dire in merito al rifiuto alla vaccinazione contro il Covid da parte del personale sanitario in Rsa e ospedali? In questo caso non sembrano esserci leggi scritte che possano regolamentare i comportamenti tra personale e datore di lavoro e il terreno su cui ci si muove sembra ancora più incerto…

«È vero, ad oggi non esiste una norma per tali situazioni. Le posizioni che emergono sono sostanzialmente tre: come un qualsiasi cittadino, anche l’operatore sanitario ha il diritto di esprimere un dissenso; come operatore sanitario contrattualizzato però, tale posizione può arrecare un danno a pazienti e colleghi e l’operatore sanitario può essere sollevato dall’incarico per ricoprire un altro ruolo di funzione sanitaria oppure per arrivare ad un suo licenziamento; infine, non dobbiamo dimenticare che gli operatori sanitari appartengono ad un professione che prevede il rispetto di un codice etico e deontologico vincolante, che si basa su un principio tanto semplice quanto essenziale: l’operatore sanitario deve fare tutto il possibile per salvaguardare la salute dei pazienti».

Tra le tante sfide legate al progresso della medicina e a una sua digitalizzazione, la sfida più importante è ancora quella legata a comunicazione e rapporto tra paziente e operatore sanitario?

«In un certo senso sì. Bisogna considerare il fatto che la problematica delle pandemia non è stata vissuta da alcune generazioni, che per la prima volta vivono questa drammatica situazione. Questo può creare, assieme a una non sempre corretta informazione e comunicazione, un certa diffidenza anche tra il personale sanitario, che a sua volta è chiamato a dialogare con il paziente. Attenzione dunque ai fattori comunicativi confusivi, che possono aumentare in operatori sanitari e pazienti i dubbi sulla vaccinazione».

Ci sono passaggi del Decreto Legge 5 gennaio 2021 che possono creare confusione o ambiguità? Quali gli aspetti da sottolineare alla luce della delicatezza dell’argomento e della necessità di una più proficua comunicazione tra paziente e operatore sanitario?

«È necessario delineare più correttamente le funzioni dell’Amministratore di Sostegno del paziente, dei suoi famigliari e dell’operatore sanitario in senso ampio. Un obiettivo non semplice da raggiungere, me ne rendo conto: il rischio è quello di creare una sorta di gerarchia fra chi ha più potere decisionale e chi ne ha meno. Nel frattempo, possiamo partire da una necessità fondamentale all’interno del percorso di cura del paziente: ricostruire la sua storia con l’aiuto dei suoi familiari. Questo è fondamentale per capire i motivi delle decisioni del paziente e per costruire con lui una relazione forte, che lo convinca a fare le scelte più giuste nel rispetto della sua salute».

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