Covid e soggetti fragili, Squillaci (Fed. Italiana Comunità Terapeutiche): «Anziani e non solo, nessuno va dimenticato»

Parliamo di emergenza socio-sanitaria e di soggetti fragili: un termine spesso associato alle fasce d’età più alte della popolazione, specie quando l’obiettivo è quello di tutelare l’individuo e garantirgli salute e cura. Cerchiamo però di analizzare il concetto di fragilità in tutte le sue forme. Oltre alle Rsa, in Italia esistono strutture che si dedicano al sostegno di persone con altre tipologie di fragilità: disabilità, tossicodipendenza, soggetti con problemi psichici. L’emergenza in atto impatta sensibilmente anche sulle strutture che accolgono tali persone. Quali sono dunque le criticità da risolvere a livello nazionale e le sfide per il futuro? Ne parliamo con Luciano Squillaci, presidente della Federazione Italiana Comunità Terapeutiche (Fict)

Dottor Squillaci, a cosa è dovuta la criticità delle strutture che accolgono persone fragili in Italia con disabilità e problemi psichici?

«L’emergenza Coronavirus si presenta in una fase storica in cui, di fatto, già esiste una forte fragilità nei sistemi sanitari presenti sul territorio italiano. Oggi l’Italia deve fare i conti con venti sanità differenti: tante quante le regioni, organizzate in maniera autonoma e differenziata dal punto di vista sanitario e socio-sanitario. Ma anche fra le regioni esistono incongruenze. Come Federazione Italiana Comunità Terapeutiche ci occupiamo di servizi rivolti a soggetti con fragilità complesse come tossicodipendenza, problemi psichici e disabilità: strutture preposte a questo scopo si sono ritrovate nella tempesta senza alcuna direttiva specifica. Gli interventi a livello regionale hanno riguardato in gran parte le Rsa e le residenze per anziani: tali interventi sono più che giusti ma è necessario pensare a misure di carattere inclusivo, rivolte a tutti i soggetti e le famiglie fragili, non solo agli anziani. Interventi mirati sulle Rsa possono non essere attuabili in strutture dove le fragilità sono differenti».

Quali fragilità possiamo citare a titolo di esempio?

«Uno su tutti: una struttura per minori con problemi di tossicodipendenza o di salute mentale non può essere trattata allo stesso modo di un’Rsa per anziani. I rapporti con le famiglie di origine sono ben diversi, così come necessità legate a motivi di studio, attività sportive e momenti di svago: non possiamo pensare di unire servizi così diversi fra loro in un unico contenitore di misure. Non avendo ricevuto indicazioni a livello nazionale, ogni regione si è dovuta auto organizzare differenziando le misure a seconda dei servizi socio-sanitari, ma non tutte ci sono riuscite. In alcune nostre strutture molte persone si sono trovate a dover interrompere il percorso terapeutico, tornando in strada».

Ad oggi come viene gestita nello specifico l’emergenza sanitaria in strutture destinate a soggetti fragili diversi dagli anziani?

«I protocolli di prevenzione sono pressochè identici a quelli delle Rsa. La differenza è rappresentata dai rapporti con l’esterno e da quelle che noi definiamo “verifiche a casa”: per persone con problemi di dipendenza o di salute mentale sono previsti dei momenti di rientro presso i loro domicili, nell’ottica di un reinserimento socio-lavorativo. Ma a molte persone il rientro a casa è stato vietato, mettendo a rischio l’intero percorso terapeutico: in questi casi il rapporto con i familiari è parte integrante del percorso. In alcuni casi il rientro è stato consentito, con tampone e quarantena dopo il rientro in struttura. In questi giorni l’Istituto Superiore di Sanità, insieme con il Dipartimento Politiche Antidroga, ha avviato un lavoro attraverso tavoli tematici specifici, in cui siamo coinvolti in prima persona: speriamo in linee guida omogenee e condivise».

Pensa che le problematiche che state affrontando siano figlie anche di un’informazione a volte imprecisa e di una mancata comunicazione?

«Penso proprio di sì, è un problema soprattutto di mancata comunicazione e informazione. Ma in questo anche noi addetti ai lavori dobbiamo riconoscere le nostre responsabilità: abbiamo il brutto vizio di sottovalutare gli aspetti comunicativi in questo settore. Eppure avvertiamo una certa necessità di dialogare a livello nazionale, per rendere note le nostre difficoltà. La sfida per il futuro è proprio questa: investire in comunicazione e informazione su temi sanitari e sociosanitari».

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