La definizione di caso: perché la sorveglianza dovrebbe includere tutti i positivi

Resta sempre vivo e animato il dibattito sul Covid e sulle “regole d’ingaggio”: un tema su cui occorre massima chiarezza, anche e soprattutto nella scelta dei messaggi da veicolare alla popolazione. A questo proposito, recentemente l’Istituto Superiore di Sanità ha messo in luce alcune FAQ che sintetizzano le principali risposte relative alle definizioni di caso ai fini della sorveglianza epidemiologica e alle modalità per definire le misure di auto-sorveglianza, quarantena e isolamento. Le scopriamo nel dettaglio.

Perché la definizione di caso di sorveglianza deve contenere i positivi e non solo i casi con sintomatologia più indicativa di COVID-19 (sintomi respiratori, febbre elevata, alterazione gusto e olfatto etc.)?

L’infezione da SARS-CoV-2 dà una sintomatologia variegata e in evoluzione anche per la comparsa di nuove varianti virali che interagiscono in modo spesso diverso con il nostro organismo. Questo rende molto difficile riconoscere clinicamente un’infezione sintomatica da SARS-CoV-2 in assenza di una conferma di laboratorio.

L’esperienza ha dimostrato, inoltre, che la maggior parte delle infezioni, in particolare nei soggetti vaccinati, decorre in maniera asintomatica o con sintomatologia molto sfumata. Non sorvegliare questi casi, limiterebbe la capacità di identificare le varianti emergenti, le loro caratteristiche e non potremmo conoscere lo stato clinico che consegue all’infezione nelle diverse popolazioni (es. per età, stato vaccinale, comorbidità). Inoltre, non renderebbe possibile monitorare l’andamento della circolazione del virus nel tempo e, di conseguenza, i rischi di un impatto peggiorativo sulla capacità di mantenere adeguati livelli di assistenza sanitaria anche per patologie diverse da COVID-19.

È vero che a livello europeo l’ECDC ha cambiato recentemente la definizione di caso utilizzata per la sorveglianza delle infezioni da SARS-CoV-2 e/o dei casi di malattia COVID-19?

No. La definizione di caso utilizzata per la sorveglianza è la stessa dal dicembre 2020 ed è disponibile on-line sul sito del Centro Europeo per la Prevenzione ed il Controllo delle Malattie – ECDC. In un’ottica di ritorno alla normalità dopo la fine dell’emergenza pandemica, l’ECDC ha suggerito in un documento del 18 ottobre 2021 una futura transizione a un sistema di sorveglianza sindromico, simile a quello che si usa attualmente per l’influenza.

Ma la definizione di caso utilizzata nella sorveglianza epidemiologica definisce le misure di auto-sorveglianza e quarantena?

No. La definizione di caso utilizzata per la sorveglianza epidemiologica nazionale non comprende i contatti dei casi confermati e la stessa sorveglianza non ne monitora l’andamento nel tempo. Pertanto, la definizione di caso usata in sorveglianza non riveste alcun ruolo nel definire le misure di auto-sorveglianza e quarantena. A riprova di questo, l’ECDC il 7 gennaio 2022 ha aggiornato le proprie indicazioni relative a quarantena e isolamento, senza modificare la definizione di caso usata per la sorveglianza epidemiologica.

La definizione di caso utilizzata nella sorveglianza epidemiologica definisce le misure di isolamento?

No. Sebbene esse abbiano in comune un’esigenza di conferma diagnostica che si avvale di test antigenici e molecolari, un caso positivo secondo la definizione della sorveglianza viene valutato in base ad una serie di criteri, riportati nella circolare del Ministero della Salute del 30 dicembre 2021, per definire le diverse modalità di isolamento.

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