Scuola e Sanità ai tempi del Covid: il divario tra Nord e Sud Italia nel rapporto Svimez 2020

La società e l’economia italiana sono attraversate dalla più grave crisi della storia repubblicana. La prima ondata della pandemia ha avuto come epicentro il Nord. La crisi economica si è però estesa al Mezzogiorno, dove si è tradotta in emergenza sociale incrociando un mondo del lavoro più frammentario e una società più fragile. A ciò si è sommata, nella parte finale dell’anno, l’emergenza sanitaria e scolastica. È quanto emerge dal rapporto 2020 di Svimez, associazione che promuove lo studio delle condizioni economiche del Mezzogiorno d’Italia.

Un rapporto importante, quello di Svimez, proprio perché presentato quest’anno in un momento di straordinaria incertezza ma, al tempo stesso, nel mezzo di un’importante svolta della politica nazionale. Se è vero che la pandemia da Covid è stata la causa dell’emergenza sanitaria e scolastica, è altrettanto vero che la pandemia ha acuito e sottolineato le divergenze tra Nord e Sud. L’Italia è oggi di fronte alla possibilità di avviare una ricostruzione coniugando crescita nazionale e coesione territoriale, orientando i processi economici verso una maggiore sostenibilità. Vediamo quali sono i risultati del Rapporto Svimez 2020 sul divario tra Nord e Sud in tema di sanità e scuola. 

Il divario sanitario e i suoi effetti nella gestione della pandemia

Durante la prima ondata della pandemia si legge nel rapporto il sistema sanitario meridionale è stato colpito solo in maniera marginale dal virus. Da quando l’emergenza sanitaria si è estesa in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale, sono emerse tutte le carenze strutturali di un’offerta di servizi sanitari che nelle regioni meridionali è ben lontana da standard accettabili. Il divario di offerta di servizi sanitari è, secondo Svimez, il risultato di un ampliamento nelle dotazioni di personale e infrastrutture a sfavore delle regioni meridionali.

Dal 2007 al 2017 infatti, la media del numero di posti letto per 1.000 abitanti negli ospedali è scesa da 3,9 a 3,2. Una riduzione avvenuta soprattutto nelle regioni sottoposte a Piano di Rientro, dove in media il tasso di posti letto per 1000 abitanti era più alto che nelle altre regioni. Un quadro piuttosto esaustivo dei divari territoriali nell’offerta di servizi sanitari è espressa dai punteggi Lea, ovvero i Livelli Essenziali di Assistenza che devono essere garantiti in tutti i territori. Il 2018, l’ultimo anno per il quale sono disponibili i risultati, è il primo anno in cui tutte le regioni monitorate risultano adempienti, con un punteggio minimo di 160. Nonostante ciò, il divario tra regioni del Sud e quelle del Centro-Nord risulta marcato: si va dai valori massimi di 222 punti del Veneto e 221 dell’Emilia Romagna ai minimi di 170 di Campania e Sicilia e di appena 161 della Calabria.

Guardando ai dati del 2017, emerge una relazione positiva tra la spesa sanitaria pubblica pro capite del 2017 e i punteggi Lea. Se si vogliono migliorare le performance è dunque necessario spendere di più. Secondo Svimez, per comprendere meglio le differenze nei punteggi Lea in termini di impatto sulle opportunità di cura dei cittadini, è necessario porre attenzione agli indicatori sull’accesso a particolari servizi sanitari, soprattutto in attività di prevenzione. Secondo un’elaborazione di Svimez su dati Ministero della Salute 2019 riguardanti la partecipazione della popolazione target ai programmi regionali di screening mammografico per il tumore al seno, screening per il tumore della cervice uterina e screening per il cancro del colon retto, nel 2017 la regione con lo score peggiore, pari a 2, è stata la Calabria, mentre Liguria, Veneto, Provincia Autonoma di Trento e Valle d’Aosta sono le regioni con il punteggio più alto, pari a 15.

La convergenza interrotta della formazione scolastica e la questione universitaria del sud

Sempre secondo il rapporto Svimez 2020, la scuola ha visto indebolirsi, dopo la crisi in atto dal 2008, la sua capacità di fare equità, di ridurre i divari nelle opportunità dei ragazzi che vengono da famiglie meno abbienti e meno scolarizzate. Il fatto è che la scuola sembrava incapace di colmare le lacune di apprendimento e di favorire l’inserimento sociale di chi proviene da situazioni più svantaggiate già prima del Covid. Con queste premesse, la diffusione del coronavirus ha portato le scuole e le università italiane a modificare le modalità di erogazione della didattica, passando dalle lezioni in presenza a quelle online.

Oggi è semplice evidenziare la divaricazione territoriale nell’offerta di servizi formativi. Il divario Nord/Sud è evidente già dai servizi per l’infanzia. I posti autorizzati per asili nido e altri servizi rispetto alla popolazione di riferimento sono il 13,5% nel Mezzogiorno ed il 32% nel resto del paese. La spesa pro capire dei comuni per i servizi socio-educativi per bambini da 0 a 2 anni è pari a 1468 euro nelle regioni del Centro, a 1255 euro nel Nord-Est per poi crollare ad appena 277 euro nel Sud. I numeri del Ministero dell’Istruzione sul tempo pieno nelle scuole dell’infanzia e primarie ci dicono che nel Centro-Nord, nell’anno scolastico 2017-18, è stato garantito il tempo pieno al 46% dei bambini, con valori che raggiungono il 50,6 in Piemonte e Lombardia; nel Mezzogiorno, in media, solo al 16%, in Sicilia la percentuale scende ad appena il 7%.

Il divario quantitativo Nord/Sud si combina con un divario qualitativo. Nel 2015 il 34% degli studenti delle regioni meridionali non raggiunge il livello minimo di competenze matematiche, valore più che doppio di quello rilevabile nel Centro-Nord (16,7%). Sul fronte della dispersione scolastica, gli ultimi anni hanno visto significativi miglioramenti anche in Italia: da valori vicini al 20% nel 2008 si è passati al 13,5% nel 2019, valore ugualmente lontano rispetto al target di Europa 2020 (10%) e dalla media europea (10,6%). Tuttavia, il Sud Italia presenta tassi di abbandono assai più elevati: nel 2019 gli early leavers meridionali erano il 18,2% a fronte del 10,6% delle regioni del Centro-Nord.

In una condizione di netto svantaggio del Sud Italia rispetto al Nord, la pandemia potrebbe esacerbare le iniquità formative esistenti nei sistemi scolastici. Secondo Svimez, gli studenti più svantaggiati potrebbero rimanere ancora più indietro rispetto ai loro compagni per  mancanza degli strumenti necessari per poter seguire le lezioni a distanza. In un tale contesto assume importanza ancora maggiore l’ambito familiare con un potenziale incremento del divario tra le famiglie in grado di far fronte alle difficoltà connesse all’interruzione della didattica in presenza e quelle dotate di scarsi mezzi culturali ed economici.

Arrivando alla formazione universitaria, secondo i dati più recenti (2019), il Mezzogiorno ha ancora 12mila immatricolati in meno rispetto al 2008 e un tasso di passaggio di oltre 5 punti percentuali più basso. Viceversa, il Centro-Nord ha registrato per l’intero periodo un incremento di 30mila immatricolati circa e un aumento di oltre un punto percentuale del suo tasso di passaggio.

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