Un anno dal primo lockdown, dott. Landi (SIGG): «La socialità resti un bene primario»

Il 9 marzo 2020 l’Italia entrava ufficialmente in lockdown contro il Covid. Ad annunciarlo allora fu il Premier Conte: «Non ci sarà più una zona rossa, non più zona uno e zona due, ma un’Italia zona protetta. Restiamo distanti oggi per riabbracciarci più forte domani». Dopo un anno dall’inizio del lockdown, un abbraccio rimane ancora il gesto di cui avremmo più bisogno. Dopo un anno di Covid, siamo ancora distanti fra noi e più vicini, quello sì, ad una soluzione. Con l’arrivo del vaccino il 2021 può essere l’anno della rinascita, nonostante il primo trimestre dell’anno abbia fatto registrare un nuovo aumento di contagi e l’arrivo, anche nel Bel Paese, delle varianti Covid.

In un anno la pandemia ha avuto il tempo di cambiare le nostre abitudini, di gettare l’Italia in una crisi sanitaria ed economica e di impattare negativamente soprattutto sulle persone più anziane: sono loro infatti i soggetti più fragili, non solo agli effetti del virus ma anche a quelli dell’isolamento. Come è cambiata la vita degli anziani (ma anche quella di tutti noi) dopo un anno di pandemia? Cosa ci ha insegnato il Covid? Cosa serve ora per tornare alla normalità? Lo abbiamo domandato al dottor Francesco Landi del Policlinico Gemelli di Roma, Presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria.

Dottor Landi, a un anno dall’inizio del lockdown imposto dalla pandemia le nostre abitudini sono cambiate radicalmente. In particolare, a risentire maggiormente delle restrizioni sono state le persone anziane. Qual è stato l’impatto del lockdown su di loro?

«Senza dubbio l’impatto del lockdown sulle persone anziane va ben al di là delle ripercussioni che conosciamo, derivante dalla malattia del Covid. Mi riferisco alle tante vittime del Covid presenti nelle Rsa. Tuttavia la pandemia è andata oltre, colpendo da un punto di vista fisico e cognitivo anche le persone che non hanno contratto il virus. Tali persone, appartenenti a tutte le fasce d’età, in un anno sono state costrette ad un cambiamento radicale del loro stile di vita».

Che ruolo gioca la componente psicologica fra i rischi dell’isolamento per tutte le fasce d’età? L’impressione di stare al sicuro, isolati dal virus, può non bastare se la percezione per la persona è anche quella di rimanere isolato dal resto del mondo e della società?


«Assolutamente no, non basta. Questa percezione nell’arco di un anno è andata modificandosi di volta in volta: la percezione che tutti noi abbiamo avuto all’inizio è che il sacrificio di qualche giorno sarebbe bastato per arginare il contagio. Quando i giorni sono diventati settimane e poi mesi, la nostra sicurezza è venuta a mancare e ha fatto la comparsa un bisogno ritrovato di socialità, che a mio avviso rientra tra i beni primari. Si sente spesso dire che alle persone mancano cose voluttuarie, quando in realtà ci mancano dei beni primari: il bisogno dell’esercizio fisico (ai giovani ma anche e soprattutto agli anziani), la necessità di avere relazioni sociali, di un sonno sereno e di momenti di svago. D’altra parte è risaputo già dai tempi dei greci e dei romani: la nostra vita è un equilibrio tra lavoro, attività fisica, svago e riposo. Questo equilibrio, a partire da marzo 2020, è stato inevitabilmente alterato».

Quali aspetti rendono più delicata la situazione degli anziani?


«Tanti aspetti. In primo luogo la sedentarietà e l’impossibilità talvolta di non avere contatti con i familiari, ma anche l’aver in qualche modo modificato la propria alimentazione e ridotto in maniera significativa i loro controlli di routine. Tutto oggi è focalizzato sul Covid e sembra quasi di aver dimenticato quanto sia importante attività fisica, alimentazione sana e prevenzione».

In un anno di pandemia un grande ruolo è stato svolto dalle Rsa nel prendersi cura dei propri ospiti e farli sentire meno isolati. Anche qui però abbiamo visto come il Covid abbia avuto accesso, con gravi conseguenze. Ora si può agire rendendo immuni i soggetti fragili: facciamo il punto sulle vaccinazioni…

«Il Covid ci ha dimostrato quanto le Rsa possano essere importanti come luoghi di cura, ma anche quanto siano luoghi caratterizzati da grande fragilità. Oggi la strategia è quella della vaccinazione, ormai lo abbiamo capito bene: abbiamo iniziato a mettere in sicurezza le persone più fragili e in futuro contiamo che, a fronte di una possibile diffusione continua del virus, la possibilità di contagi all’interno di una Rsa possa spaventare meno di quanto faccia oggi».

In molte Rsa si è riusciti in qualche modo a rendere possibile un abbraccio fra l’anziano e i suoi familiari. Cosa ne pensa di questo traguardo? Forse la pandemia ha evidenziato l’importanza dell’affetto e della presenza dei familiari nella cura di una persona anziana…

«Questo è un altro aspetto estremamente importante. È stato possibile mettere in campo le strategie per poter garantire ai soggetti anziani nelle Rsa la visita dei loro parenti, una vita fatta di abbracci e rassicurazioni, di contatto e rapporti umani, seppur attraverso una membrana di plastica. L’ingegno italiano ha portato anche a questo; l’obiettivo nell’immediato futuro è quello di poter abbattere anche queste ultime barriere per poter davvero tornare ad abbracciarci senza filtri».

Qual è oggi l’impatto psicologico dello stesso vaccino sui soggetti anziani? Secondo il suo modo di vedere, prevale la paura o la fiducia? Come rapportarsi con un soggetto più anziano nello spiegare l’importanza della vaccinazione in questo momento?


«Credo ci sia grande fiducia verso il vaccino da parte delle persone anziane, anche perchè negli anni hanno visto altre pandemie essere superate proprio grazie ai vaccini. Forse c’è più diffidenza tra i giovani o gli operatori socio-sanitari: spesso si dice che questo vaccino è stato studiato e messo a disposizione dei cittadini troppo velocemente, ma credo che la scienza abbia fatto passi da gigante. Si è riusciti a formulare un vaccino in tempi relativamente brevi grazie ai progressi della tecnologia. Possiamo andare con fiducia incontro al vaccino come unica strategia per uscire dalla pandemia».

In un anno tanti gli effetti del lockdown, ma anche tanti traguardi raggiunti, nel rispetto e nella tutela dei soggetti fragili. Cosa si può ancora fare nell’immediato futuro? Quali sono i provvedimenti che la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria può proporre per dare priorità alle persone più fragili?

«Dobbiamo tornare a pensare alla ripartenza, aiutati dal vaccino. Dobbiamo però farlo con la consapevolezza di mantenere alta l’attenzione nel mantenere alta la prevenzione e gli adeguati stili di vita della popolazione».

A pandemia terminata, che società avremo di fronte? Quale società si augura per il futuro?

«È difficile ipotizzare, anche perchè non sappiamo quando la pandemia possa terminare. Avremo di fronte una società che spero abbia potuto imparare quanto sia importante avere un sistema sanitario efficiente e pronto a intervenire in situazioni come questa. Penso che, a pandemia terminata, avremo imparato quanto alcuni valori prima dati per scontati siano in realtà straordinariamente importanti per la nostra vita».

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